Gesù Cristo, ritiratosi da Gerusalemme e recatosi nella Galilea, vide un giorno, sulle rive del lago nella Galilea, due pescatori che gettavano le reti, e disse loro: «Venite dietro di me e vi farò pescatori d’uomini» (Matteo, IV, 19) ossia vi darò virtù di trarre gli uomini a Dio. Ed essi, lasciando le reti, prontamente lo seguirono (ib.20). Uno dei due era Gesù Cristo, ritiratosi da Gerusalemme e recatosi nella Galilea, vide un giorno, sulle rive del lago nella Galilea, due pescatori che gettavano le reti, e disse loro: «Venite dietro di me e vi farò pescatori d’uomini» (Matteo, IV, 19) ossia vi darò virtù di trarre gli uomini a Dio. Ed essi, lasciando le reti, prontamente lo seguirono (ib.20). Uno dei due era Simone (da Cristo chiamato poi Pietro, figlio di Giovanni, fratello di Andrea, nato in Betsaida verso la fine del I secolo a.C., e cittadino di Cafarnao, dove viveva con la moglie e la suocera. La leggenda cristiana ci dipinge questo Simone come uomo facile a lasciarsi abbattere dall’avversità, spesso dominato dal dubbio e titubante, ma pronto a risollevarsi e a mostrarsi forte e pieno di fervore. Egli figura in testa alla lista che San Matteo ci dà degli apostoli. Gesù, dopo una solenne professione di fede, gl’impose il soprannome ch’egli doveva immortalare, dicendogli: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa» (Matteo, XVI, 18). Alla vigilia della Passione, Pietro fu incaricato, per l’avvenire, di confermare nella fede i suoi fratelli. Quando Gesù annunziò la diserzione degli apostoli Pietro esclamò che quando tutti avessero abbandonato il loro Maestro, egli sarebbe rimasto con lui e non l’avrebbe abbandonato mai. Infatti nell’orto di Getsemani, mentre gli armati stavano per impadronirsi di Gesù, egli mosse loro incontro e colpì Malco, servo del gran sacerdote (Luca, XXII, 50). Ma poche ore dopo, nel cortile, del palazzo di Caifa, si turbò e rinnegò tre volte il Maestro, che d’altronde aveva predetto il suo tradimento. Uno sguardo di Gesù bastò per fargli comprendere quanto fosse stato colpevole e per mettergli in cuore il tormento di un rimorso che doveva durare quanto la sua vita.
Dopo la risurrezione, Pietro ritorna a Gerusalemme e presiede all’elezione del nuovo apostolo Mattia. Nel giorno della Pentecoste, fa alla plebe la sua prima predica quale capo degli apostoli. Con coraggio ed ardire, rinfaccia agli Ebrei la crocifissione di Cristo, li esorta a pentirsi ed è tasta la potenza della sua parola, che guadagna tremila Giudei alla nuova fede. Perseguitato dai sacerdoti, viene imprigionato due volte, ma per due volte vien rilasciato libero, non trovandosi ragione per condannarlo.
Va in Samaria per aiutare nell’ evangelizzazione il diacono Filippo e per combattere Simone il mago. Poi, tornato di nuovo in Gerusalemme, vi sta per tre anni, dirigendo l’azione degli altri apostoli. Lascia infine a Giacomo la Chiesa di Gerusalemme e va a portare la parola di Cristo in Antiochia, ove fissa la sua sede pontificale. Di là evangelizza il Ponto, la Galazia la Cappadocia, l’Asia e la Bitinia. Visita Lidda, dove guarisce Enea, paralitico da otto anni; altri miracoli compie a Foppe (oggi Fafa); in Cesarea battezza Cornelio, centurione romano.
Nel secondo anno dell’impero di Claudio, Pietro, lasciato Esodio a reggere la Chiesa di Antiochia, trasporta a Roma la sede pontificale. Poco dopo (anno 44), ritorna a Gerusalemme per rafforzarvi quella Chiesa, minacciata da Erode Agrippa, nipote dell’Erode che aveva comandata la strage degli innocenti. Giacomo viene decollato; Pietro è incarcerato e condannato a morte. Può sfuggire al supplizio, e ritorna a Roma; dove scrive la sua prima Epistola. Scacciato da Roma con tutti i giudei, per ordine di Claudio, rivede Gerusalemme ed assiste come capo alla prima adunanza conciliare della Chiesa.
Gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli attestano che Pietro ritornò a Roma con Paolo, verso l’anno 65, durante il regno di Nerone. In quella città, la fede cattolica aveva già fatto grandi passi, penetrando perfino nel palazzo imperiale. Pietro manda missionari nella Sicilia, in tutta Italia, nelle Gallie e sulla costa d’Africa, e dirige ai cristiani di tutto il mondo una seconda Epistola. Nerone inizia frattanto le sue feroci persecuzioni contro i cristiani. Pietro e Paolo sfuggono ai soldati imperiali, fanno nuovi proseliti, e vengono arrestati soltanto due anni dopo, per aver provocato l’ira di Nerone con l’avversare la fama e le dottrine di Simone il mago. Imprigionati nel carcere Mamertino, furono poi tratti a morte il 29 giugno dell’anno 67 dell’era cristiana, il quale anno, secondo la tradizione cattolica, fu il 25° della sede di Pietro in Roma.
Mentre Paolo, come cittadino romano fu decapitato, Pietro, come giudeo, venne crocifisso col capo all’ingiù, sul Gianicolo a Roma. La sua salma raccolta dai fedeli, fu sepolta lungo la via Amelia, presso il tempio d’Apollo, dove aggi grandeggiano il palazzo del Vaticano e la basilica di S. Pietro.
Pietro scrisse soltanto le due Epistole alle quali si è già accennato, e si ha ragione di ritenere apocrife tutte le altre opere che a lui vennero attribuite. Un’altra leggenda raccolta dai protestanti, ma contestata, nega la venuta di Pietro a Roma e la prevalenza di lui sugli altri apostoli.
Essa però non regge ad una critica coscienziosa, mentre trova conferma in tutti gli scritti del I e II secolo la tradizione accettata dalla Chiesa romana e seguita in questo rapido cenno.imone (da Cristo chiamato poi Pietro, figlio di Giovanni, fratello di Andrea, nato in Betsaida verso la fine del I secolo a.C., e cittadino di Cafarnao, dove viveva con la moglie e la suocera. La leggenda cristiana ci dipinge questo Simone come uomo facile a lasciarsi abbattere dall’avversità, spesso dominato dal dubbio e titubante, ma pronto a risollevarsi e a mostrarsi forte e pieno di fervore. Egli figura in testa alla lista che San Matteo ci dà degli apostoli. Gesù, dopo una solenne professione di fede, gl’impose il soprannome ch’egli doveva immortalare, dicendogli: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa» (Matteo, XVI, 18). Alla vigilia della Passione, Pietro fu incaricato, per l’avvenire, di confermare nella fede i suoi fratelli. Quando Gesù annunziò la diserzione degli apostoli Pietro esclamò che quando tutti avessero abbandonato il loro Maestro, egli sarebbe rimasto con lui e non l’avrebbe abbandonato mai. Infatti nell’orto di Getsemani, mentre gli armati stavano per impadronirsi di Gesù, egli mosse loro incontro e colpì Malco, servo del gran sacerdote (Luca, XXII, 50). Ma poche ore dopo, nel cortile, del palazzo di Caifa, si turbò e rinnegò tre volte il Maestro, che d’altronde aveva predetto il suo tradimento. Uno sguardo di Gesù bastò per fargli comprendere quanto fosse stato colpevole e per mettergli in cuore il tormento di un rimorso che doveva durare quanto la sua vita.
Dopo la risurrezione, Pietro ritorna a Gerusalemme e presiede all’elezione del nuovo apostolo Mattia. Nel giorno della Pentecoste, fa alla plebe la sua prima predica quale capo degli apostoli. Con coraggio ed ardire, rinfaccia agli Ebrei la crocifissione di Cristo, li esorta a pentirsi ed è tasta la potenza della sua parola, che guadagna tremila Giudei alla nuova fede. Perseguitato dai sacerdoti, viene imprigionato due volte, ma per due volte vien rilasciato libero, non trovandosi ragione per condannarlo.
Va in Samaria per aiutare nell’ evangelizzazione il diacono Filippo e per combattere Simone il mago. Poi, tornato di nuovo in Gerusalemme, vi sta per tre anni, dirigendo l’azione degli altri apostoli. Lascia infine a Giacomo la Chiesa di Gerusalemme e va a portare la parola di Cristo in Antiochia, ove fissa la sua sede pontificale. Di là evangelizza il Ponto, la Galazia la Cappadocia, l’Asia e la Bitinia. Visita Lidda, dove guarisce Enea, paralitico da otto anni; altri miracoli compie a Foppe (oggi Fafa); in Cesarea battezza Cornelio, centurione romano.
Nel secondo anno dell’impero di Claudio, Pietro, lasciato Esodio a reggere la Chiesa di Antiochia, trasporta a Roma la sede pontificale. Poco dopo (anno 44), ritorna a Gerusalemme per rafforzarvi quella Chiesa, minacciata da Erode Agrippa, nipote dell’Erode che aveva comandata la strage degli innocenti. Giacomo viene decollato; Pietro è incarcerato e condannato a morte. Può sfuggire al supplizio, e ritorna a Roma; dove scrive la sua prima Epistola. Scacciato da Roma con tutti i giudei, per ordine di Claudio, rivede Gerusalemme ed assiste come capo alla prima adunanza conciliare della Chiesa.
Gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli attestano che Pietro ritornò a Roma con Paolo, verso l’anno 65, durante il regno di Nerone. In quella città, la fede cattolica aveva già fatto grandi passi, penetrando perfino nel palazzo imperiale. Pietro manda missionari nella Sicilia, in tutta Italia, nelle Gallie e sulla costa d’Africa, e dirige ai cristiani di tutto il mondo una seconda Epistola. Nerone inizia frattanto le sue feroci persecuzioni contro i cristiani. Pietro e Paolo sfuggono ai soldati imperiali, fanno nuovi proseliti, e vengono arrestati soltanto due anni dopo, per aver provocato l’ira di Nerone con l’avversare la fama e le dottrine di Simone il mago. Imprigionati nel carcere Mamertino, furono poi tratti a morte il 29 giugno dell’anno 67 dell’era cristiana, il quale anno, secondo la tradizione cattolica, fu il 25° della sede di Pietro in Roma.
Mentre Paolo, come cittadino romano fu decapitato, Pietro, come giudeo, venne crocifisso col capo all’ingiù, sul Gianicolo a Roma. La sua salma raccolta dai fedeli, fu sepolta lungo la via Amelia, presso il tempio d’Apollo, dove aggi grandeggiano il palazzo del Vaticano e la basilica di S. Pietro.
Pietro scrisse soltanto le due Epistole alle quali si è già accennato, e si ha ragione di ritenere apocrife tutte le altre opere che a lui vennero attribuite. Un’altra leggenda raccolta dai protestanti, ma contestata, nega la venuta di Pietro a Roma e la prevalenza di lui sugli altri apostoli.
Essa però non regge ad una critica coscienziosa, mentre trova conferma in tutti gli scritti del I e II secolo la tradizione accettata dalla Chiesa romana e seguita in questo rapido cenno.
Primo successore di San Pietro, fu San Lino, nativo di Volterra. Mandato dai suoi parenti a Roma, Lino poté udire la predicazione del Vangelo, allora iniziata dal capo degli apostoli, e divenne un fervido cristiano. Le virtù, il sapere e lo zelo del discepolo indussero S. Pietro a consacrarlo sacerdote e a sceglierlo a compagno per le sue peregrinazioni apostoliche. Secondo la tradizione della Chiesa, Pietro ordinò Lino quando si recò a Gerusalemme a presiedervi il primo concilio, e lo lasciò a Roma quale suo vicario. Ritornato a Roma, Pietro affidò a Lino un’importante missione nella Gallia, dove il vescovo fece numerosi proseliti, mediante un’attiva e fervida propaganda della religione di Cristo.
Scoppiata poco dopo la persecuzione di Nerone, Lino ritornò a Roma per aiutare gli apostoli Pietro e Paolo, e quando questi furono imprigionati, li sostituì nel reggere la Chiesa romana. Accompagnò probabilmente al martirio il Maestro, e dopo la morte di lui, aiutato da San Marcello e da altri fedeli, ne curò la sepoltura.
Vuole la tradizione che per timore che la Chiesa rimanesse priva di un capo in quei tempi calamitosi, S. Pietro avesse nominati Lino, Cleto, Clemente e Anacleto quali suoi successori nel pontificato, l’uno in mancanza dell’altro. Lino, pertanto, successe a Pietro in quello stesso anno (67), e durante il suo pontificato si svolsero avvenimenti importanti, quali la morte di Nerone, la distruzione di Gerusalemme e la dispersione degli Ebrei, molti dei quali si convertirono alla fede cristiana.
Si attribuiscono a S. Lino molti miracoli, e si vuole che appunto in seguito a un miracolo giudicato offesa agli Dei, egli sia stato imprigionato e poi decapitato.
Secondo l’ordine cronologico generalmente seguito, Cleto fu il successore immediato di Lino. Ma in alcune cronologie, Clemente è messo prima di Cleto, che vien confuso con Anacleto, quinto papa secondo gli Annuari pontifici. Noi ci atterremo a questi, che registrano Cleto e Anacleto come due personaggi distinti.
Cleto governò la Chiesa per 12 anni e vide rinnovarsi la persecuzione contro i cristiani.
Nato a Roma e discepolo egli pure di S. Pietro, molto fece per la diffusione della fede cristiana mentre era in vita il capo degli apostoli e durante il pontificato di S. Lino. Fra gli atti che gli si attribuiscono è la divisione della città di Roma in 25 rioni, a ciascuno dei quali prepose un sacerdote, o un diacono, con l’incarico di rispondere ai bisogni spirituali ed anche temporali dei fedeli. Secondo la tradizione egli attendeva alacremente alla propagazione del vangelo, in Roma e fuori di Roma, quando Domiziano iniziata la seconda persecuzione dei cristiani, ordinò che il capo di questi fosse cercato e messo a morte. Si deve però notare che il martirio di S. Cleto e l’avvento di S. Clemente vengono registrati nell’anno 90, mentre, secondo la storia, la persecuzione ordinata da Domiziano fu iniziata nell’anno 93.
Figlio di un Faustino, senatore romano, San Clemente fu eletto a governare la Chiesa dopo il martirio di S. Clero. Istituì i notai, ovvero scrivani, i quali dovevano aver cura di scrivere diligentemente i fatti dei martiri e tutto ciò ch’essi dicevano davanti ai loro giudici e agli imperatori.
Durante il pontificato di S. Clemente, avvenne lo scisma di Corinto, nella quale città i cristiani, ricusando di obbedire all’autorità del pontefice, pretesero di eleggersi a loro talento i sacerdoti. Il pontefice allora inviò ai Corinzi un’epistola che viene considerata come un importante monumento dell’antichità cristiana, e che bastò, dicesi, a far cessare lo scisma.
Iniziata dall’imperatore Traiano la terza persecuzione dei cristiani, S. Clemente, al quale si vollero usare dei riguardi perché apparteneva ad una famiglia patrizia, fu invitato con promesse e minacce ad abbandonare la sua sede: ma inutilmente. Allora venne condannato all’esilio e al lavoro nelle miniere del Chersoneso Taurico (Crimea), dove solevansi deportare i malfattori. Dice la tradizione che il pontefice romano trovò laggiù duemila cristiani esiliati e che li soccorse moralmente quale ministro e capo della loro religione, e materialmente con lo scoprire per miracolo una limpida e perenne sorgente, in una regione dove la mancanza d’acqua era causa di atroci patimenti. Un tal fatto e le predicazioni costanti permisero a S. Clemente di convertire al cristianesimo molti degli esiliati pagani, finché, giunto da Roma l’ordine che tale propaganda avesse a cessare, il pontefice fu preso e gettato in mare con un’ancora legata al collo.
Sotto S. Anacleto, successore di S. Clemente, continuò ad infierire la persecuzione. Vuole la leggenda che l’imperatore stesso interrogasse talvolta i cristiani, per confonderli e per indurli, con minacce di tormenti e di morte, a rinunciare alla loro religione. S. Anacleto si adoperò a mantener saldi nella fede cristiana i perseguitati e i condannati, a combattere le eresie e a preparar missioni per la propagazione del vangelo.
Si attribuiscono a lui la destinazione di un luogo particolare sul Vaticano per la sepoltura dei papi accanto alla tomba di S. Pietro e l’erezione di una cappella su questa tomba. Quella piccola chiesa divenne poi il famoso tempio di S. Pietro in Vaticano.
S. Anacleto fu condannato a morte, come i suoi predecessori, dopo lunghi tormenti.
Era greco, figlio di un ebreo di nome Guido di Bettlehem nella Siria e diventò Papa durante il regno dell’imperatore Traiano. Affidò ai sette diaconi ordinati da S. Pietro la cura di sorvegliare il Vescovo praedicantem propter stilum veritatis. Il Papa Cleto aveva ordinato venticinque preti, ed Evaristo distribuì fra loro i Titoli, ossia le principali chiese o parrocchie di Roma. Da ciò molti credono possa derivare l’origine dei titoli presbiteriali (dei cardinali preti). Aggiunse alcune cerimonie al rito della consacrazione delle chiese. Egli morì nel 121. Il «Liber Pontificalis» dice Martyrio coronatus est senza però che ciò sia provato storicamente. Venne sepolto presso la tomba di S. Pietro.
È rappresentato presso una cuna, perché essendo oriundo di Bettlehem lo si diceva nato presso la stalla della Natività. Le due lettere ai vescovi d’Africa che gli vengono attribuite sono apocrife.
Romano di nascita, Alessandro, successore di Evaristo, giunse al pontificato dopo aver molto predicato in Roma, convertendo numerosissimi pagani. La storia ecclesiastica narra di lui che giovanissimo, fosse riuscito con la sua eloquenza a convertire un prefetto di Roma, Ermete, con la sua famiglia e con più di mille suoi schiavi. Il suo interrogatorio da parte di un Aureliano, emissario dell’imperatore Adriano, e i tormenti che dovette subire sono narrati e descritti nelle storie dei martiri.
Romano, della gente Elvidia, tenne il pontificato per nove anni ed alcuni mesi e assunse il titolo di Vescovo universale della Chiesa apostolica. Gli si attribuiscono regole per il culto ed i riti, e alcune decretali. Morì martire, e alcune sue reliquie vengono custodite in una chiesa della Lorena, dove le portò il cardinale di Retz, che le aveva avute in dono da Clemente X.
Di questo papa (che fu il nono) come dei precedenti, la storia non registra alcun fatto importante. Se ne sa soltanto che, nativo della Magna Grecia, predicò in Roma, con grande ardore, contro gli adoratori degli Dei, riuscendo a convertirne molti, e che per questo fu condannato a morire. Venne sepolto nel Vaticano presso la tomba di S. Pietro.
Nato in Grecia, eletto papa nel gennaio del 154, ordinò i gradi del clero, distinguendo i vari uffici dei chierici. Scagliò l’anatema e la scomunica contro l’eresiarca Cerdone, contro i Marcioniti, e spiegò grande energia nel reprimere anche tutte le altre eresie di quel tempo. Morì dopo quattro anni di papato.
Nato in Aquileia, giunse assai giovane al pontificato. Lottò contro gli eresiarchi Marcione e Valentiniano. Non è accertato ch’egli sia morto martirizzato durante la quarta persecuzione dei cristiani, e i decreti e le epistole che gli si attribuiscono da alcuni storici della Chiesa sono indubbiamente apocrifi.
Fatto saliente del pontificato di S. Aniceto fu la venuta in Roma di S. Policarpo, discepolo di S. Giovanni Evangelista e vescovo di Smirne, che molto contribuì a smentire gli eresiarchi e a far nuovi proseliti. La storia ecclesiastica registra alcune controversie fra papa Aniceto e quel santo, le quali vennero felicemente risolte. Anche S.Aniceto fu martirizzato.
A S. Aniceto successe S. Sotero, nativo della Campania. Si attribuiscono a questo papa molte disposizioni relative alla disciplina e al culto ecclesiastici. Mandò soccorsi ai cristiani condannati ai lavori delle miniere d’Asia, combatté l’eresia dei Montanisti, e, riaccesasi la persecuzione dei cristiani durante l’impero di Marco Aurelio, subì a sua volta il martirio.
Successe a Sotero il greco Eleuterio, nativo di Nicopoli. All’inizio del suo pontificato, Sant’Ireneo, vescovo di Lione, gli recò una lettera dei cristiani di Lione che lo pregavano di adoperarsi per dar pace alla Chiesa, intervenendo contro gli eretici. Così fu riconosciuta per la prima volta l’autorità del pontefice romano su tutta la Chiesa. Durante il pontificato di S.Eleuterio comparvero altri due eresiarchi: Blasto e Florino, contro i quali agirono insieme il papa e S.Ireneo. Quest’ultimo scrisse allora il suo libro Contro le eresie, pervenuto fino a noi.
Questo papa, africano d’origine, successe a S.Eleuterio, e difese strenuamente la religione cristiana contro gl’idolatri e gli eretici, pur manifestando una certa indulgenza verso i Montanisti. Ebbe a lottare contro due nuovi eretici, i due Teodoti, che ebbero molti seguaci; poi, iniziatasi nel 202 la persecuzione di Severo, che fu la quinta e una delle più terribili, morì martire egli pure il 28 luglio 203 dopo un pontificato di dieci anni.
Il pontificato di S.Zefirino fu travagliato dalla quinta persecuzione, ordinata da Severo. Questo papa consolidò la supremazia pontificale sui vescovi e lottò contro le eresie dei Montanisti e degli Encratiti. Raddolcì la disciplina della Chiesa verso i cristiani colpevoli di adulterio e di immoralità. Lo storico Tertulliano, allora montanista, avversò questa decisione nel suo trattato Sulla Castità e Zefirino lo scomunicò. Il rimprovero di avarizia e di altri peccati che gli fu mosso dal primo antipapa scismatico Ippolito sembra non fosse meritato. Morì martire nel 200 e gli successe S.Calisto, che fece inumare i resti di lui nel suo cimitero sotterraneo.
Romano, della gente Domizia, fece edificare una basilica in riva al Tevere, che poi durò col nome di S.Maria in Trastevere, e raccolse i morti cristiani in un cimitero sotterraneo (catacombe) detto appunto di S. Calisto. Durante il suo pontificato, i cristiani non ebbero a subire alcuna persecuzione generale; ma molti di essi furono vittime di un’insurrezione popolare. Il loro capo S. Calisto fu preso, battuto con verghe fino agli estremi e poi gettato in un pozzo. Presso la basilica di Trastevere questo pozzo viene ancora mostrato ai credenti, quantunque sembri poco probabile che ne sia rimasta qualche traccia.
Si attribuisce a questo papa una costituzione con la quale avrebbe abilitate le chiese ad accettare e possedere dei beni donati o lasciati in eredità dai fedeli. Ma sembra che l’epistola relativa sia apocrifa. Poiché infieriva la persecuzione di Alessandro Severo, Urbano si rifugiò nelle catacombe, dove i cristiani cominciarono a riunirsi per i loro riti. Durante la persecuzione, riuscì a fare molti proseliti, finché, trovato e preso in una catacomba, poco dopo il martirio di S.Cecilia, venne decapitato, insieme con molti altri cristiani.
Era romano, figlio di Calpurnio, ed ascese alla Cattedra Apostolica nel 233, succedendo ad Urbano I. Poche notizie si hanno di lui, il suo pontificato trascorse durante gli ultimi anni dell’ impero di Alessandro Severo, quando i cristiani godettero un po’ di pace, e l’impero di Massimino durante il quale infierì un’altra crudele persecuzione. Ponziano stesso venne esiliato nella piccola isola Tavolara vicino alla Sardegna e sottoposto ai più duri lavori. Discinctus est dice il Catalogo Liberiano alludendo forse all’abdicazione che egli fece durante la sua prigionia della dignità pontificia, dignità che venne assunta da Antero.
Non si sa quanto Ponziano sia rimasto nell’esilio dopo che rinunciò al Papato. Sempre secondo il Liber Pontificalis egli vi sarebbe morto in causa delle privazioni, dei patimenti che ebbe a sopportare. Quale compagno nell’esilio e nel martirio il Papa aveva avuto il sacerdote Ippolito, celebre dottore romano nel quale il Duchesne, discorde in questo con molti scrittori, riconosce Ippolito, vescovo di Porto. Il corpo di Ponziano venne trasportato a Roma dal papa Fabiano e sepolto nel Cimitero di Calisto, nella Cappella Papale.
Ai due lati della porta di questa, i muri sono ricoperti di grafiti e fra molti nomi sconosciuti, se ne trovano altri che sono notorii, e fra questi quello di Ponziano e l’entusiasta esclamazione di un pellegrino:
JERUSALEM CIVITAS ET ORNAMENTUM MARTYRUM.
Aveva imposto le mani a 6 vescovi, 6 preti e 5 diaconi, ed aveva governato la Chiesa 5 anni, 2 mesi e 2 giorni.
Non è sicuro che la condanna di uno dei più grandi scrittori della Chiesa Origene, fatta da Demetrio vescovo di Alessandria (d’Egitto) fosse, come alcuni vogliono, confermata da un concilio convocato in Roma da Ponziano, e nemmeno se di tale condanna intende parlare S. Girolamo in una sua epistola a Paola (Epist. XXXIII).
Di origine greca, figlio di Romolo, nacque in Calabria, allora Magna Grecia, e più precisamente a Policastro. Schivo degli onori e delle dignità, si era ritirato in Sardegna a vita solitaria, ma in seguito alla rinunzia di Ponziano, fu eletto Papa e venne a Roma.
La tradizione vuole che venisse martirizzato per aver fatto raccogliere e riunire dai notari gli Atti dei Martiri, che poi depose negli Archivi della Chiesa. Sembra che nella persecuzione di Diocleziano questa collezione papale di libri sia stata distrutta; difatti Gregorio Magno non riuscì a trovarne le traccie. Il Liber Pontificalis parlando di Antero dice: Martyrio coronatur; ma il Duchesne avverte che il suo anniversario non è segnato negli antichi calendari, o libri liturgici romani anteriori al IX secolo; ciò che mette in dubbio il suo martirio. Fece una sola ordinazione, quella del vescovo di Fondi. Il suo pontificato fu brevissimo e morì durante il regno dell’imperatore Massimino I. Venne sepolto nel cimitero di San Calisto ove il suo nome trovasi nell’elenco che Sisto III fece incidere sul marmo e che pose nella Cappella dei Papi.
Sacerdote della Chiesa romana, S. Fabiano fu eletto papa dopo S. Antero; raccolse i resti del suo predecessore S. Ponziano per seppellirli nel cimitero di S. Calisto, e formò un collegio di diaconi incaricati di riunire i documenti relativi ai martiri cristiani. Secondo gli storici Zosimo ed Eusebio, convertì e battezzò l’imperatore Filippo l’Arabo e il figlio di lui. Subì il martirio, durante la persecuzione di Decìo, il 20 gennaio 253.
La fierissima persecuzione di Decio fu cagione che non si potesse eleggere un nuovo papa se non sedici mesi dopo la morte di S. Fabiano, Durante il periodo di sede vacante, Novaziano, prete romano, formò un partito per farsi eleggere papa. Venne eletto invece Cornelio, ma anche Novaziano riuscì a farsi consacrare, cosicché si ebbero il secondo scisma (il primo era stato quello d’Ippolito, durante il pontificato di S. Zefirino) e il secondo antipapa della Chiesa cristiana. Novaziano, per sostenere il suo scisma (nel quale introdusse anche un’eresia, negando alla Chiesa il potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo) ricorse all’aiuto di Novato, eresiarca cartaginese, insieme col quale suscitò tumulti fra i cristiani. Cornelio dovette allontanarsi da Roma, e da Civitavecchia continuò ad agire come capo di quanti non avevano aderito allo scisma. Richiamato dall’imperatore, e ritenuto responsabile dei disordini provocati da Novaziano, fu incarcerato e poi ucciso per avere, durante la prigionia, convertiti al cristianesimo il suo carceriere e numerosi soldati.
Il pontificato di S.Lucio fu breve come quello precedente e non presenta alcun fatto molto notevole. Questo papa dichiarò scomunicati gli usurpatori e i dissipatori dei beni della Chiesa, scomunica che fu più tardi confermata da altri pontefici e dal Concilio di Trento. Venne poi imprigionato e decapitato quale capo dei cristiani e quale propagatore della nuova religione.
Il principale avvenimento del pontificato di S. Stefano I fu la «disputa dei ribattezzandi». S.Cipriano vescovo di Cartagine e Firmiliano vescovo di Cesarea sostenevano, con molti loro partigiani, che si dovessero ribattezzare i cristiani i quali avevano ricevuto il battesimo da eretici. S. Stefano si oppose loro e fece trionfare la dottrina tradizionale della Chiesa Romana. Morì martire, regnante l’imperatore Valeriano.
Successore di S.Stefano I fu Sisto II, ateniese, che tenne il pontificato per 11 mesi soltanto. Ebbe a lottare contro l’eresia dei Sabelliani, così detta da Sabellio che ne fu l’autore e vide l’inizio della ottava persecuzione, voluta dall’imperatore Valeriano, che proibì ai cristiani non solo di predicare ma anche di riunirsi nelle catacombe. Sisto II violò questa legge, venne sorpreso nella catacomba di S.Calisto, e dopo inauditi patimenti fu decapitato come tanti dei suoi predecessori. Poco dopo la sua morte, la storia della Chiesa registra il famoso martirio di S.Lorenzo. Questo cristiano era stato imprigionato col pontefice martire e l’aveva accompagnato al supplizio.
Nativo della Magna Grecia. Eletto pontefice, riordinò le parrocchie di Roma, sconvolte durante la persecuzione di Valeriano; fece molte ordinazioni; riscattò i prigionieri cristiani della Cappadocia, quando, presa Cesarea, i barbari devastarono le province dell’impero romano. Fu illustre per virtù e dottrina, come risulta dalla testimonianza di S.Dionigi d’Alessandria. Scrisse lettere importanti, di cui rimane un frammento riportato da S.Atanasio. Alcune che gli si attribuiscono sono certamente apocrife. Morì martire nel 272.
Eletto papa, ordinò che la messa venisse celebrata sulle tombe dei martiri e indirizzò a Massimo, patriarca d’Alessandria, una lettera contro l’eretico Paolo di Samosate, condannato dai concili d’Antiochia. Subì il martirio durante la nona persecuzione, ordinata dall’imperatore Aureliano, e fu sepolto, secondo S.Cirillo di Alessandria, nel cimitero a cui rimasse il suo nome.
Non si sa nulla di particolare relativamente al successore di Felice I, se non che durante il suo pontificato si diffuse la dottrina di Manete o dei Manichei, la quale insegnava che vi sono due Idii, uno buono, operatore del bene, l’altro cattivo, operatore del male, e proscriveva le elemosine, i sacramenti, il culto delle sacre immagini, negando inoltre che Gesù Cristo si fosse incarnato. Questa eresia fu adottata in molti paesi e durò per almeno dieci secoli.
Nativo di Salona in Dalmazia e nipote dell’ imperatore Diocleziano, fu mandato dai parenti a Roma, dove si fece cristiano. Divenne papa nel 283. Nel secondo anno del suo pontificato scoppiò la persecuzione di Diocleziano; che fu più sanguinosa di ogni altra. Invano egli tentò di agire presso l’imperatore perché i cristiani fossero risparmiati. Dopo aver vissuto per qualche anno nella casa di Gabinio suo fratello, anche Caio dovette ritirarsi nelle catacombe: Diocleziano, per quanto desiderasse la distruzione di tutti i cristiani, esitò lungamente a risolversi a condannare anche il pontefice suo parente. Vi si decise infine, in un impeto di furore, e S.Caio subì il martirio nell’anno 296.
Gl’imperatori Diocleziano e Massimiano pubblicarono nel 302 nuovi editti di persecuzione generale contro i cristiani, i loro templi e i loro libri ecclesiastici. Il papa Marcellino, ch’era stato eletto nel 296, dopo S. Caio, si lascio dapprima intimidire e lasciò bruciare le sacre scritture; poi si pentì e confessò il suo errore in un concilio adunato a Sinuessa. Mentre durava la persecuzione, Marcellino fu circondato da uomini coraggiosi che non cessarono di predicare il vangelo con zelo e fermezza anche di fronte al pericolo, e con essi si adoperò per la causa cristiana, finché ebbe tronca la testa il 26 aprile 304. Durante il suo pontificato avvenne il sacrificio della Legione Tebea, formata da cristiani che furono tutti uccisi per non aver voluto smentire la loro fede.
Successe al papa Marcellino il papa Marcello (anno 304), che fu severissimo contro i cristiani ch’erano stati colpevoli di debolezza e d’idolatria durante la persecuzione. Massenzio lo fece imprigionare, minacciandolo di morte qualora non rinunciasse alla sua dignità e non adorasse gli idoli. Avendo resistito con mirabile costanza, il pontefice cristiano venne condannato a servire nelle stalle imperiali. Continuò ugualmente a provvedere alla diffusione della sua fede, fu liberato dai suoi fedeli, ma poi ripreso dai soldati di Massenzio e lasciato morire fra patimenti inauditi.
La storia di questo papa rimase lungamente oscura; se ne ebbe qualche dato quando il De Rossi scoprì nel cimitero di S. Calisto l’epitaffio che il papa S. Damaso compose in suo onore. S. Eusebio combatté i rigoristi che si rifiutavano di ammettere alla penitenza i fedeli colpevoli di essersi mostrati deboli durante le persecuzioni. Esiliato da Massenzio, morì in Sicilia.